le raccolte del covile...donna lucrezia, dorisa, angelica, finetta. lucrezia — ebbene, finetta,...

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LE RACCOLTE DEL COVILE L a f e m m e d o c t e u r d i G u i l l aum e Hy a c i n t h e B ou g e a n t e a l t r E M E R A V I G L I E d e l mo m e n to mo l i n i s t a M Numeri 979, 980, 920, 894. F i r e n z e AGOSTO MMXVI I I www.ilcovile.it f

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  • LE RACCOLTE DEL COVILE

    La femme docteurdi

    Guillaume Hy-Hy acintheBougeant

    e altrE MERAVIGLIEdel momento

    molinistaM

    Numeri 979, 980, 920, 894.

    F i r e n z eAGOSTOMMXVIII

    www.ilcovile.itf

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  • ☞ La cornice di copertina è ripresa da Speculum peregrinarum quaestionum, di Bartholomei Sibille, 1534.

  • INDICE

    N° pagLa femme docteur. Guillaume-Hyacinthe Bougeant 979 1Repertorio storico. 980 1Biografia dell'Autore. André Dabezies 4La traduzione italiana del 1731. Gabriella Rouf 9Note del traduttore. GR 13Il molinismo difeso ed emendato. 920 1La devozione delle Tre ore d'agonia di N.S.G.C. a Radicofani. 894 1

  • LA FEMME DOCTEUR DI

    GUILLAUME-HYACINTHEBOUGEANT

    E ALTRE MERAVIGLIEDEL MOMENTO

    MOLINISTA

    f

  • BAANNO XVIII N°979 6 GENNAIO 2018

    X Y XRIVISTA APERIODICA

    DIRETTA DA

    STEFANO BORSELLI UIl Covile) RISORSE CONVIVIALIE VARIA UMANITÀISSN2279–6924iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiPenetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

    G u i l l a u m e - H y a c i n t h e B o u g e a n t

    LA FEMME DOCTEURovvero

    LA TEOLOGIA CADUTA NELLEMANI DELLE DONNE

    0

    Personaggi

    GERONTE.DONNALUCREZIA.moglie di GeronteDORISA figlia maggiore diGeronte e Donna Lucrezia.ANGELICAsorella di Dorisa, promessa e fidanzata ad Erasto.CLEANTEfratello di Geronte.ERASTO innamorato di Angelica.M. DE BERTOLDI.M. DELLA BERTOLDINERAnipote di M. Bertoldi.

    M. SPACCABOLLE,M. BERCIASSAI

    avvocati, nel noverodei 50.

    DORIMENA,BELISA

    dame del vicinato.BARONESSA DI

    HARPIGNACquerelante.

    FINETTAcameriera di Donna

    Lucrezia.LENZETTA

    venditore ambulante dilibri.

    SIGNORINA SCARSELLAquestuante.

    UN NOTAIO.

    La scena è nell’appartamentodi Donna Lucrezia.

    Titolo originale delle prime edizioni francesi, anonime, del 1730: La Femme Doeur ou la Théologie tombée en Quenouille.

    Traduzione di Gabriella Rouf.

    Il Covile, ISSN 2279–6924, è una pubblicazione non periodica e non com-merciale, ai sensi della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore:Stefano Borselli. ☞Segreteria operativa: Armando Ermini, GabriellaRouf. ☞Redazione: Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, PietroDe Marco, Armando Ermini, Marisa Fadoni Strik, Ciro Lomonte,Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Gabriella Rouf, Nikos A.Salíngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano Serafi ni , Stefano Silvestri .

    ☞ © 2018 Stefano Borselli. La rivista è licenziata sotto Creative Com monsAttribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 3.0 Italia Licen-

    se. ☞Arretrati: www.ilcovile.it. [email protected]. ☞Caratteri✉utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e gli

    Education di Manfred Klein, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com ☞Programmi: impaginazione Libre

    Office (con Estensione Patina), trattamento immagini GIMP e FotoSketcher.

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    A T T O IScena PRIMA.

    ANGELICA, FINETTA.

    ANGELICA — Finetta!FINETTA — Madamigella Angelica!ANGELICA — Cos’è quel pacchetto che stainascondendo?FINETTA — Suvvia, non vi agitate; lo sa-prete anche troppo presto.ANGELICA — Che? È ancora uno di quei li-bretti sciagurati che mia madre mi obbliga aleggere?FINETTA — Altro che libretto! No, prego si-gnorina, è un bell’in quarto; e ringraziate l’autoreche evidentemente si è stancato di mentire, sennòavreste ricevuto di certo un bell’in folio. Ma vi ba-sti leggere il titolo, è proprio uno spasso: Paralle-lo fra la Dottrina della Costituzione & della Moraledei Gesuiti con quelle dei Pagani.

    ANGELICA — Ah! Finetta! Sono alla di-sperazione.FINETTA — Magari preferireste leggere ro-manzi e commedie? Ma non è cosí che la inten-de la Signora vostra madre. Buone Lettere Pa-storali, buone Istruzioni, buone Satire contro i

    Molinisti. Ecco quello che occorre per prepa-rare una fanciulla al suo ingresso in società.ANGELICA — Dai, smettila, per piacere.FINETTA — So bene che siete stata promes-sa ad Erasto già due anni fa, e che dipendereb-be solo dalla Signora vostra madre il farvi spo-sare. Ma come? Credete che Donna Lucrezia vimetterà nelle mani di un marito, senza averviprima ben indottrinata e consolidata nei grandiprincipi della Morale? No, grazie. Scommettoche nemmeno sapete ancora cosa sono le Li-bertà della Chiesa Gallicana e le Massime delRegno?ANGELICA — Eh! Che m’importa di saperlo?FINETTA — E volete sposarvi?... Eh, madavvero, Madamigella!ANGELICA — Ah! Ti prego, non ti mettere incombutta con mia madre per farmi disperare. C’èmai stata, dimmi, una ragazza piú disgraziata epiú ridicolmente trattata di quanto lo sia io, daquando mia madre, non sapendo piú come farbella figura in società s’è messa nella testa gli affa-ri della Costituzione? Che carattere, Finetta, cheha mia madre! Che testardaggine, che durezzasotto un’apparente dolcezza!FINETTA — Dolcezza! Oh, sí. Proprio dafidarsene.

    ANGELICA — Promessa a Erasto da due anni,a malapena ho la libertà di vederlo qualche volta.Qui non vedo altro che preti di tutti i tipi, monacidi tutti i colori, donne ridicole. Non sento parlareche di Costituzione e di Molinisti. Esco solo perandare ad ascoltare altrove discorsi simili. Sai cheper compiacere mia madre mi è toccato impararequasi a memoria il Nuovo Testamento di Quesnele non so quanti libelli; e che per ingraziarmela hofatto mostra finora di non disapprovare le sue ma-nie; ma ormai sono cosí disgustata che non possopiú trattenermi, e se mio padre, dopo sí lunga as-senza, non ritorna finalmente a mettere ordinenella situazione… FINETTA — Oh! Sí… siete proprio il tipo dafare un colpo di testa! Ma se a malapena osaterespirare davanti alla Signora vostra madre!ANGELICA — È vero. Ma per lo meno sonodecisa a non dissimulare piú con lei i miei veri

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    sentimenti, e glieli dirò chiari già da oggi, se ènecessario.FINETTA — Bisogna ammettere che MesserGeronte vostro Padre ha un grande torto adaverci cosí lasciate in balía di una donna irra-gionevole come Donna Lucrezia. Dopo avervifidanzata ad Erasto, ha lasciato alla Signora lacura di concludere il matrimonio ed è partitoper la Spagna, dove i suoi affari lo trattengonoancora. Che Dio lo benedica! Ma credo che sa-rà assai stupito al suo ritorno di trovarvi ancorazitella e di vedere il bell’ordine che sua moglieha instaurato nella casa: la cantina trasformatain stamperia, le soffitte in magazzini di libelli,gli appartamenti in stanze per riunioni: unmucchio d’avvocati che sbraitano, preti che in-trigano, e Madama che fa la papessa. Tutti,perfino i lacché dogmatizzano e l’altro giornoil cocchiere non sapendo piú che epiteto dare aicavalli li chiamò molinisti.

    ANGELICA — Perché allora sei tu la prima adassecondare mia madre nelle sue stravaganze?FINETTA — Oh! Perché… È che ci trovo ilmio tornaconto. In questo modo godo dellapiena fiducia della mia padrona. Colgo buoneoccasioni, e faccio anche la mia figura nel par-tito: ci credereste che il reverendo Filigrammemi fa gli occhi dolci e non dipende certo da luiche non mi faccia fare qualche grossa eresia?

    Ma io sono, grazie a Dio, terribilmente cattoli-ca quanto all’onore.ANGELICA — Sei matta. Ma cosa ne dici dimia sorella Dorisa che briga per distogliere miamadre dal concludere il mio matrimonio?FINETTA — Non c’entrerà un po’ di gelosia, oforse anche un po’ d’interesse per Erasto? … ANGELICA — Che dici? Mia sorella è di unavirtú cosí accanita. È cosí seriamente assorbitain dispute di religione. Cosí aliena dalle cosedel mondo. A malapena si rassegna a portareun panier.FINETTA — È vero. Ma certe rigide virtúnon sono esenti da debolezze.ANGELICA — Quello che mi sostiene, è checonfido ancora che mio padre arriverà presto.FINETTA — Bisognerà pure che torni final-mente, e le ultime notizie di tre o quattro mesifa facevano intendere che non avrebbe tardatoancora a lungo.ANGELICA — Ma se lui ancora non arriva,non potrebbe mio zio persuadere mia madre adefinire finalmente la mia situazione con Era-sto? Mi ha promesso di riparlarne con lei oggi.FINETTA — Chi, vostro zio? Cleante? No, Si-gnorina. Cleante è un ufficiale, un uomo onesto,giudizioso e sensato, che parla alla Signora vostramadre secondo ragione e buon senso. Ahimè!Non è con quelli che la si persuade... Ma voi mitrattenete troppo. Devo andare dalla Signora.ANGELICA — Ascolta, ancora una parola.Mi è venuta l’idea di provare a convincereMesser Bertoldi. Sai l’ascendente che hasull’animo di mia madre… FINETTA — Oh! Altro che, se lo so. Ma non vifidate. Dato che la Signora non fa nulla se nondietro consiglio di quel preteso sant’uomo, hofortissimi sospetti che sia lui che fa rimandare ilvostro matrimonio. Chissà se non c’è sotto qual-che interesse? Quell’uomo ha un nipote.ANGELICA — Ebbene! Che c’entra?FINETTA — Non ci giurerei che egli non sisia messo in testa di farvelo sposare; e se lui sel’è messo in testa, presto l’avrà messo anche inquella della Signora vostra madre, perché è

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    proprio inconcepibile che codesto uomo, chenon ha nessun merito e assai poca intelligenza,abbia potuto col suo linguaggio e con le suesmorfie di devozione, prendere un tale poteresu di lei… Sia quel che sia, mi accorgo che daqualche tempo mi fa piú moine del solito. Im-magino che abbia qualche segreto da confidar-mi, e staremo a vedere. Ma ecco Donna Lucre-zia con vostra sorella.

    Scena SECONDA.DONNA LUCREZIA, DORISA, ANGELICA,

    FINETTA.

    LUCREZIA — Ebbene, Finetta, non ci mettial corrente delle ultime notizie?FINETTA — Ah, Signora, ci sono grandinovità.DORISA — Dunque dille alla svelta.FINETTA — La Costituzione se la passa ma-le, Signora.LUCREZIA — Lo credo bene; ma in che senso?FINETTA — Si dice che i 50 avvocati… DORISA — … orbene, i 50 avvocati?FINETTA — Si dice che i 50 avvocati hannoscritto un nuovo Faum contro di essa.DORISA — Ah, madre mia, che bello, chebello! Bisognerà pure che i signori Vescovicambino musica.

    FINETTA — Ahimè, purtroppo si dice ancheche i Medici stanno facendo una prescrizione afavore, e che prenderanno gli Esattori Generalicome arbitri… LUCREZIA — Oh! Non c’è da aver paura: i50 Avvocati la spunteranno. Ma da chi hai sa-puto questa notizia?FINETTA — Da quel grasso canonico … chepredica tanto contro la morale rilassata e che ècosí gioviale… Monsignor Bottazzi… LUCREZIA — Bene, bene! Ecco su cosa im-perniare la nostra prossima riunione. Ne sietecontenta figlia mia?DORISA — Sento tanta gioia da non poterlaesprimere.LUCREZIA — E voi, Angelica?ANGELICA — Sissignora.LUCREZIA (a Finetta) — Cos’altro sei venu-ta a sapere?FINETTA — Si dice che la ronda ha fermatostanotte in una via del Faubourg S. Germain unuomo di chiesa che si dice fosse un prete di S.Sulpice… LUCREZIA — Oh! Di certo. Vedete che gen-te. Quel prete aveva sicuramente qualche catti-va intenzione.FINETTA — … ma poi si è scoperto che eraun prete appellante.LUCREZIA — Ah! Pover’uomo! Andava si-curamente a fare qualche opera buona. Hai vi-sto Messer Bertoldi?FINETTA — Síssignora. È stato fortementeincomodato questa notte da una specie di soffo-cazione per aver letto le prime tre pagine delMandamento dell’Arcivescovo.LUCREZIA — Il sant’uomo! Cosa gli vienein mente di leggere simili miserie!FINETTA — Sta un po’ meglio stamani; da-to che l’ho trovato che pranzava di gusto condue religiosi assai austeri.LUCREZIA — Messer Bertoldi è l’immaginedei fedeli delle origini. È lui che per primo miha insegnato i grandi principi della Grazia edella sana Teologia: parlare sempre con dol-cezza e carità, amare la pace, assaporare la mi-

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    rabile devozione che è profusa nelle opere deinostri pii scrittori. Oh! Quell’uomo possiedeveramente lo spirito dei primi secoli dellaChiesa! Ma tutte voi lo conoscete bene quantome. E poi dove sei stata?FINETTA — Ho visto Madre Santa Babilache stendeva un nuovo Atto di Appello per lasua Comunità. Sono stata da Belisa, che ho tro-vato che disputava contro un vescovo. Dorime-na era alla sua toilette con due preti. L'avv.Spaccabolle andava alla buvette. L'avv. Ber-ciassai esaminava una tesi della Sorbona. Essivi inviano tutti i loro ossequi. E hanno promes-so di venire al piú presto alla riunione. Ho an-che incontrato Don Cleante vostro cognatoche mi ha domandato se ricevete stamani. Cre-do che verrà a trovarvi.LUCREZIA — Oh! Quanto al mio Signor co-gnato, faremmo volentieri a meno delle sue vi-site. Oh! Che cos’è quel libro?FINETTA — Oh! Signora, è un libro che vifarà molto piacere. È il reverendo Brutal cheve lo manda.LUCREZIA (legge) — Parallelo fra la Dottri-na della Costituzione & della Morale dei Gesuiticon quelle dei Pagani. Ah, figlie mie! Che operaeccellente!DORISA — Che piacere ne avremo!LUCREZIA — Ecco, figlie mie, per quantaimpazienza abbia di vederlo, voglio che siatevoi per prime a leggerlo.ANGELICA — Purché mia sorella abbia vo-glia di leggerlo. Io aspetterò… LUCREZIA — No, no, lo leggerete tutte e due.Dovete avere questo piacere insieme. Quanto ame, concluderò un’altra lettura della quale nonvoglio perdere una riga. Quando arriverà mio co-gnato, avvertitemi. Finetta, vieni a sistemare lamia toilette.

    Scena III.DORISA, ANGELICA.

    DORISA — Mi pare, sorella mia, che non mo-striate molto zelo per questa nuova opera.

    ANGELICA — Che volete? Il fatto è che tuttiquesti libri ripetono sempre le stesse cose: mol-te invettive contro i molinisti, qualche citazio-ne dalla Scrittura e da S. Agostino bene o maleapplicata, grandi sproloqui sulla purezza dellamorale e molti discorsi che non capisco.DORISA — Che non capite! Avete dunqueuna mente assai ottusa.ANGELICA — Può darsi; ma ho almeno laconsolazione di somigliare in questo a moltedame che non sono ritenute prive di spirito.DORISA — Sí; ma lo usano solo per dellesciocchezze.ANGELICA — È vero che esse lo applicanosoltanto alle cure della casa, all’educazione deifigli, alla sorveglianza della servitú, e che divi-dono cosí il loro tempo tra gli obblighi inerentialla loro condizione e i doveri della religione:ma credo che in questo modo esse si fanno sti-mare quanto quelle che si dedicano a discettaresu materie che non capiscono.DORISA — Via, cara sorella: ciò significa soloche voi date ascolto piú volentieri ai discorsi diErasto e che li capite meglio.ANGELICA — Lo confesso; ma ricordateviche lo faccio con l’approvazione di mio padre,che mi ha ordinato di guardare a Erasto comeallo sposo che egli mi destinava.DORISA — Che debolezza!ANGELICA — Lo ammetto, cara sorella;ma dovete perdonarmela. Il privilegio di de-dicarsi come voi solo a cose spirituali, non èconcesso a tutti.DORISA — Significa secondo voi che io nonposso anche pensare a maritarmi, se lo voglio?Disingannatevi, sorella mia. Non è il matrimo-nio in sé che io chiamo debolezza, ma è l’occu-parsene come di questione importante, fino atrascurare di istruirsi a fondo sui grandi princi-pi della sana teologia.ANGELICA — È vero che i pensieri mondania voi non vengono nemmeno in mente. In ognicaso, almeno non penserete ad Erasto.DORISA — Eh! Perché non potrei pensarci? Voivi fate troppo forte dell’autorità di mio padre.

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    ANGELICA — Cosa? Sorella, vorreste to-gliermi lo sposo che mio padre mi ha destinato?DORISA — Non dico questo. So io cosa in-tendo. Ecco che sta arrivando lo zio e nostramadre che esce giusto a proposito. Ritiriamoci,se volete, per cominciare la nostra lettura.

    Scena IV.MADAMA LUCREZIA, CLEANTE.

    CLEANTE — Ebbene nipoti mie, sono ioche vi faccio scappare?LUCREZIA — Lasciatele andare, Signore,devono fare una lettura insieme… Ma voi, co-gnato mio, avete ancora qualche altro discorsoda farmi?CLEANTE — Sí, cara cognata, ho da farviuna proposta assai ragionevole. Voi dovrestefinalmente maritare vostra figlia Angelica enon si capisce come lasciate differire per tantotempo una questione che doveva essere conclu-sa già da due anni.LUCREZIA — È vero o no che sarà la cente-sima volta che me ne parlate?CLEANTE — Poco ci manca.LUCREZIA — Ebbene, mi avete persuasa?CLEANTE — Perbacco, pare proprio di no.LUCREZIA — Dunque perché perdete tem-po a ridirmelo?

    CLEANTE — Eh! Perché mai non si potreb-be giungere a persuadervi?LUCREZIA — Oh! Perché! Con quale dirit-to, di grazia, me ne domandate la ragione? Sie-te voi il mio tutore, il mio curatore? In fondo,siete solo mio cognato.CLEANTE — È vero. È ben poca cosa. Maparliamo ragionevolmente, e non adiriamoci.LUCREZIA — Adirarmi, io! Sappiate che giàda tempo sono esente da queste debolezze dellanatura corrotta, grazie a Messer Bertoldi.CLEANTE — Benissimo; e senza adirarvi fa-reste perdere la pazienza al mondo intero. Bi-sogna ammettere che vi insegna belle cose,questo Messer Bertoldi.LUCREZIA — Sí, cognato mio, dolcezza ecarità. Voi non potete sopportare Messer Ber-toldi, perché è un santo.CLEANTE — V’ingannate: ho sempreprofessato di amare e onorare la virtú; ma adire il vero, quella di Messer Bertoldi nonmi è mai piaciuta.LUCREZIA — Perché mai?CLEANTE — Non parlerò del fatto cheMesser Bertoldi è un insulso personaggio, cheha solo smorfie di devozione e quasi niente in-telletto. Ma il fatto è che, da quando gli avetedato fiducia, tutta la casa è in disordine. I do-mestici non vengono pagati, le vostre figlie nonsono sistemate, il vostro appartamento è il re-capito per tutti gli intriganti e le persone ridi-cole del quartiere. E mentre in passato avevateuna qualche considerazione verso i miei consi-gli, oggi a malapena vi degnate di ascoltarmi!LUCREZIA — Eh, caro cognato, un po’ didolcezza e carità. Ah! Come mal riconoscete ilmerito e la vera virtú!CLEANTE — E sia; ma insomma il poveroErasto mi fa pena. Lasciatevi commuovere insuo favore. Che piacere provate a far disperaredue giovani?LUCREZIA — Erasto è padrone di essere di-sperato se vuole; quanto a mia figlia, sono piú chesicura che non lo è affatto. Voi la conoscete male,Signore, lei è meglio educata di quello che crede-te. La poverina pensa ad altro che a maritarsi…

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    via, da quando ha letto i libri dei nostri Signori, sadedicarsi a pensieri ben piú seri.CLEANTE — Insomma voi credete che, in-teressata esclusivamente alle vostre dispute sul-la Costituzione, ella non pensi affatto al matri-monio. Ebbene, cara cognata, vi dico che laconoscete male, e che siete voi che v’ingannate.LUCREZIA — Davvero solo voi vi permette-te di avere cosí strani pregiudizi. La chiamoperché ve ne convinciate di persona. Venite,Angelica; abbiamo da dirvi due parole.

    CLEANTE — D’accordo; ma lasciate che siesprima liberamente, e se le cose stanno comedico io, arrendetevi infine ai nostri desideri.LUCREZIA — Oh! Se le cose stanno comedite, non avrò bisogno dei vostri consigli persapere quello che dovrò fare.

    Scena V.MADAMA LUCREZIA, CLEANTE, ANGELICA

    LUCREZIA — Ci credete, figlia mia, che c’èqui lo zio che insiste che vi si sposi al piú prestoad Erasto? Rispondetemi: sono sicurissima chenemmeno ci pensate.ANGELICA — A cosa mi servirebbe pensarci?LUCREZIA — Dunque non ci pensate piú?ANGELICA — Ahimè! Meno che posso.LUCREZIA — Ebbene, cognato mio, vedete?

    CLEANTE — Ma come! Eh! Non vedeteche la timidezza le impedisce di spiegarsi?LUCREZIA — Davvero, cognato caro, sieteproprio ostinato. Orbene, Angelica, ve lo ripe-to un’altra volta, anzi ve l’ordino: diteci i vostriveri sentimenti.ANGELICA — Se io credessi, madre mia, chevoi pensiate davvero di darmi ad Erasto, vi di-rei con sincerità cosa ne penso; ma se voi non cipensate nemmeno, è inutile che mi spieghi.CLEANTE — Allora, cognata, la sentite?LUCREZIA — Oh, oh! Quanta prudenza,Madamigella. Spiegatevi ancora una volta eparlate liberamente.ANGELICA — Ahimè! Non oso.LUCREZIA — Come, non osate?ANGELICA — No, madre mia, temo di scon-tentarvi.LUCREZIA — Ah! Vi capisco anche troppo,piccola simulatrice. Voi non osate confessare lavostra vergogna e, a quel che vedo, Erasto vista a cuore. Tutti quei santi personaggi che fre-quentano la nostra casa, tutte quelle dame cosípiene di zelo per la Grazia e contro il Vescovodi Roma, tutto ciò per voi non è nulla in con-fronto a Erasto. Ecco l’oggetto del piacere ter-reno che domina nel vostro cuore, ecco i pen-sieri che vi tengono occupata invece di medita-re e assaporare i sacri testi che vi si mette tra lemani. Avete almeno iniziata la lettura di quelloche vi ho appena dato?ANGELICA — Sí, madre mia, ma… CLEANTE (a parte) — Eh! Cognata mia,dolcezza e carità...LUCREZIA — … ma… cosa?ANGELICA — Già il titolo di questo libro misembra cosí volgare e polemico. Non avrò mai ilcoraggio di leggerlo; e poi cosa m’insegnerebbe?LUCREZIA — Come, cosa vi insegnerebbe,impertinente?CLEANTE (a parte) — Bene bene! Eccoquello che si chiama dolcezza.LUCREZIA — Vi insegna a conoscere chegente siano i Molinisti: gente perniciosa, nemi-ci del Re e della Religione…

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    CLEANTE (a parte) — Benissimo. Eccoci al-la carità.LUCREZIA — … che corrompono la morale,che pervertono i costumi, che distruggono ilprimo articolo del Simbolo, che non voglionoche si ami Dio.CLEANTE (a parte) — Quanta dolcezza ecarità!ANGELICA — Ma, madre mia… LUCREZIA — Ebbene… madre mia cosa?ANGELICA — … che bisogno c’è che io co-nosca i Molinisti?LUCREZIA — Come, piccola imbecille! Lasacra persona dei nostri Re, le Libertà dellaChiesa Gallicana, le Leggi del Regno, i fonda-menti irremovibili della Monarchia, la santitàdella Morale cristiana, la purezza inviolabiledella Fede, tutto ciò vi è indifferente?CLEANTE — Misericordia, cognata! Da do-ve prendete tutte quelle belle frasi? Ecco tantiparoloni da riempire quattro Consultazioni diAvvocati!ANGELICA — Dio non voglia, madre! Io ri-spetto la persona dei Re, le Libertà della Chie-sa Gallicana e le Leggi del Regno, come altret-tante cose sacre. Ma insomma non spetta a meprovvedervi, e soprattutto non capisco perchédelle donne… CLEANTE — Perbacco, ha ragione; e se vo-lete che capisca tutto ciò, mandatela a studiareDiritto alla Sorbona.LUCREZIA — Ah! Voi non capite! È eviden-temente il vostro Erasto che vi impedisce di ca-pire. Ebbene, poiché avete tanta voglia di esse-re maritata, lo sarete piú presto di quello chepensiate, ma non sarà con Erasto, vi avverto.ANGELICA — Ah! Madre!LUCREZIA — Non vi preoccupate. Mi è sta-to proposto per voi un giovanotto che vi si ad-dice piú di Erasto, e ci penserò. Ritiratevi emandatemi Finetta.ANGELICA — Oh Cielo!

    Scena VI.MADAMA LUCREZIA, CLEANTE, FINETTA.

    CLEANTE — Eppure vedete, Signora, cheavevo ragione.LUCREZIA — Io vedo che vi immischiate unpo’ troppo negli affari miei. Lasciatemi, perpiacere, governare i figli a modo mio.CLEANTE — Come, niente potrà rendervifavorevole alle aspirazioni di Erasto?LUCREZIA — No di certo. Finetta, volete faravvertire Messer Bertoldi che venga a parlarmi?CLEANTE — Sarebbe lui che vi ha propostoper Angelica il giovanotto di cui avete parlato?LUCREZIA — Che ve ne importa?... Sí, è lui,se lo volete sapere, e mettetevi l’animo in pace.Io so cosa devo fare, e per tagliar corto a tutti ivostri discorsi, lo farò forse già oggi stesso...CLEANTE — Lo vedo: preferite seguire iconsigli dei vostri Signori della piccola Chiesapiuttosto che i miei. Tutti i loro consigli sonoispirati da Dio, tutto quello che dicono è ora-colo. La Verità parla solo per loro bocca, nonci sono che loro ad avere sapienza e noi tuttisiamo ignoranti e sciocchi.LUCREZIA — Benissimo! Eccoci ora ad unaltro capitolo. Continuate, se ciò vi aggrada. Viascolterò volentieri.CLEANTE — Insomma, cognata mia, il vostrocomportamento non vi fa per niente onore in so-cietà, e fareste molto meglio ad imitare molte da-me di vostra conoscenza, di cui potrei dirvi il no-me, e che con molta intelligenza e merito si ono-rano di tenersi fuori dalle dispute di religione. Eh,perbacco, perché vi immischiate con un branco didonne, monaci e preti intriganti, a controllare leBolle Papali, a censurare le Istruzioni dei vescovi,a biasimare o approvare cose che non capite? Chedirebbero, scusate, le persone di buon senso se vi sivedesse fare, verso la Giurisprudenza e le sentenzedel Parlamento, quello che fate verso la Teologiae le decisioni dei Vescovi? Non si burlerebberoforse di voi?LUCREZIA — Ci credete dunque moltoignoranti, a quello che vedo!

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    CLEANTE — Ignoranti! No. Voi sapetequello che dovete sapere: cucire, filare, rica-mare, e molte altre cose che si addicono al vo-stro sesso. Avete anche intelligenza, e vogliocredere che ne abbiate di piú di molte altredonne e anche di molti uomini. Ma insomma,non sapete la teologia… LUCREZIA — Perché non la saprei, di gra-zia? Perché non ho studiato nelle Scuole? Sot-tana nera e facciola, sono loro che danno lascienza? Occorre tanta erudizione per conosce-re questi grandi principi e verità fondamentalidella religione: che non si resiste mai alla gra-zia quando la si ha; ma che non sempre la si ha;che tutte le azioni di cui la carità divina non è ilmotivo sono altrettanti peccati, e altre cose si-mili? Via, via, cognato, quando si sono un po’letti i libri dei nostri Signori se ne sa di piú diteologia di quanto pensiate. Chiedetelo a Fi-netta.FINETTA — Oh! Quanto a questo, sebbenenon io abbia tanto cervello quanto Madamaper comprendere la teologia, credo tuttavia disaperne abbastanza per entrare come procura-tore al Parlamento.CLEANTE — Sí, vedo che ne sapete molto,l’una e l’altra. Ma da dove sapete se questigrandi princípi che avete ora detto, della graziae della carità, sono veri o sono falsi? Perché ec-co, di questo si tratta.LUCREZIA — Da dove lo so! La domanda èbuffa. Non lo so forse da San Paolo e daSant’Agostino di cui ho letto le citazioni, nei libridei nostri Signori? Finetta, rispondigli un po’ tu.FINETTA — Eh! Proprio cosí, Messere.Credo che voi ci prendiate per quelle damemoliniste che sanno solo il loro catechismo epregare Dio. Oh! Non ci gingilliamo mica condelle bagatelle. Se avessi qui solamente uno deilibri di Madama, vi citerei dei pezzi piú lunghiche da qui a domani.CLEANTE — Sí, ma questi brani sono maleinterpretati dai vostri Signori!LUCREZIA — Ecco ciò di cui non mi con-vincerete mai.

    CLEANTE — Avete ragione; perché confessoche non essendo tanto teologo quanto voi, nonsono in grado di farvene persuasa. Ma una cosaalmeno dovrebbe farvi dubitare, ossia che un’infi-nità di dottori, senz’altro assai piú numerosi deivostri, ed esperti quanto i vostri, sostengono che ivostri Signori interpretano male quei brani.LUCREZIA (ride sprezzante) — Ecco i beidottori che mi citate, ah, ah ah! Molinisti edUltramontani!CLEANTE — Ma che dite mai, Signora?Tutti i Vescovi, tutte le Università, tutti gli ec-clesiastici secolari e regolari, eccetto una man-ciata di ribelli, sarebbero Ultramontani e Mo-linisti? Non ci crederete sul serio.LUCREZIA — Ah! Ecco ancora delle grandiautorità! Eh eh eh… FINETTA — E perché non ci aggiungete an-che il Papa e tutti i cardinali? Oh, oh, oh, oh!LUCREZIA — Cosa ne pensi, Finetta?FINETTA — Davvero, Signora, penso chevoi valete da sola piú di venti Vescovi, e le altredame in proporzione. Quanto a me sarei dacompiangere, se non ne valessi una mezza doz-zina: cosí a far bene i conti, abbiamo piú vesco-vi noi dalla nostra parte che i Molinisti.CLEANTE — Davvero siete matte tutte edue, e i vostri discorsi fanno pena.LUCREZIA — Sí, siamo matte, ah ah ah! Fi-netta, siamo matte: che ne dici? I nostri discor-si gli fanno pena. Via, via, cognato, queste ma-terie sono un po’ al di sopra della portata di unUfficiale e non è davvero con noi che vi consi-glio di discutere… Ah! Sareste ancora piú stu-pefatto se alle nostre riunioni ascoltaste parlarele nostre dame sulla purezza dell’antica dottri-na della Chiesa e della morale cristiana. Veni-teci, veniteci, e vedrete se sappiamo trattare diteologia.CLEANTE — Perbacco, volentieri. La cosa èabbastanza curiosa da meritare di essere vista. Civerrò presto invece di andare alla Comédie, credoche non ci perderei nulla. Immagino che là i po-veri molinisti non verranno risparmiati e Dio sagli sbeffeggiamenti che vi si fanno su Escobar.

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    LUCREZIA (sviene) — Ah! Finetta, sostieni-mi… Ah… ah! Muoio.FINETTA — Eh! Signore, ma che nome avetepronunciato? Sarebbe stato meglio nominare ildiavolo, ecco, Madama cade in deliquio.CLEANTE — Come! Al nome di Escobarcade in deliquio?FINETTA — Fa sempre cosí, è già la terzavolta che le succede.CLEANTE — Perbacco, non lo sapevo. Da-tele dunque subito dell’Acqua della Reginad’Ungheria. Ce l’ho con me.FINETTA — Oh! Non è quello che le biso-gna. Ecco la sua medicina: gridate con me, Si-gnore (grida) — Santo Padre Quesnel! GrandeSignor Arnaud! San Paris! La grazia efficace!— Su, gridate con me, Messere.CLEANTE — Stai scherzando.FINETTA — Nossignore: vedrete che torne-rà in sé. La grazia efficace, Madama, ilsant’uomo Quesnel! Visto, eccola che rinviene.

    LUCREZIA (tornando in sé)— Ah!… cognato,scuso la vostra ignoranza; ma state attentoun’altra volta.CLEANTE — Davvero, Signora, vi chiedo per-dono; ma non sapevo che il nome di Es… Perbac-co stavo ancora per fare una sciocchezza.FINETTA — Allora, Madama, come vi sentite?

    LUCREZIA — Non è nulla. Dunque, cogna-to, ritornate tra poco, se volete, per la nostrariunione. E te, Finetta, manda qualcuno a pre-gare Messer Bertoldi che venga a parlare conme. Spero che egli mi aiuti a riportare Angelicaalla ragione. (entrambe escono)CLEANTE — Io vado alla posta dove mihanno detto che c’è una lettera di mio fratelloper me. Piaccia a Dio che mi dia notizie sul suoritorno. Perché ecco una casa rovinata se eglinon arriva a metterci ordine.

    FINE DEL I ATTO.

    A T T O I IScena I.

    ERASTO, FINETTA.

    FINETTA — Eccovi qua, Signor Erasto, ve-nite a trovare Angelica, vero?ERASTO — Bella domanda!FINETTA — Pena inutile! Premuresuperflue! Ah, poveri amori, come vi maltratta-no!ERASTO — Che vuoi dire?FINETTA — Voglio dire che Madama Lu-crezia si ostina piú che mai a non farvi sposare.ERASTO — Cleante non è venuto a parlarle?Me l’aveva promesso.FINETTA — Sí, è venuto, ha visto la Signo-ra, le ha parlato; ma… ERASTO — Come! Non ha ottenuto niente?FINETTA — Niente di niente; anzi ho sapu-to che Madama Lucrezia pensa per sua figliaad altri che voi.ERASTO (facendosi avanti con decisione) —Oh! Se le cose stanno cosí, occorre allora ch’ioprenda partito.FINETTA — Eh! Quale partito?ERASTO — Di sottrarre Angelica alla tiran-nia di sua madre.FINETTA — Come, vorreste rapirla?

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    ERASTO — Perché no? In fondo è la miasposa: suo padre me l’ha data, e sono sicuro chesuo zio Cleante vi acconsentirà.FINETTA — Sí, ma giammai Angelica… ERASTO — Domanderò il consenso a leistessa, e mi lusingo di ottenerlo.FINETTA — Vi illudete di molto.ERASTO — Ti prego, aiutaci in questo pro-getto, o per lo meno non ostacolarlo. Tieni,ecco un brillante che ti regalo sin da ora.FINETTA — Ah! Voi mi commuovete, e ve-do bene che bisognerà favorirvi. Ma state at-tento che Madama non vi trovi con Angelica.Presto, entrate nella sua stanza: sta arrivandoqualcuno.

    Scena II.MESSER BERTOLDI, FINETTA.

    BERTOLDI (con aria e tono di unzione) —Buongiorno, cara figliola, come stiamo qua?FINETTA — Benissimo, Signore. Madama èimpaziente di vedervi.BERTOLDI — Ahimè! Ella ha interrotto ilcorso delle mie preghiere. Sai per quale motivomi ha mandato a chiamare?FINETTA — È, dice lei, per aiutarla a ri-mettere in riga sua figlia Angelica.BERTOLDI — Come! Angelica si è sviata daisuoi doveri?

    FINETTA — Cosí crede la Signora, poichéla povera ragazza comincia ad avere a noia chesi rimandi per tanto tempo il suo matrimonio.BERTOLDI — Ah! Capisco. (a parte) È proprioil momento che aspettavo. (ad alta voce) Angelicaè dunque cosí impaziente di essere maritata?FINETTA — Ella muore dalla voglia; e se voipoteste persuadere sua madre a concludere questoaffare, rendereste un gran servizio alla figlia.BERTOLDI (a parte) — Sí: bisogna affrettarel’esecuzione del mio piano. (ad alta voce) Ebbe-ne, ti prometto che tenterò di farlo.FINETTA — Che! Sul serio? Oh! Come nesono contenta! Perché voi potete tutto sull’ani-mo di Madama.BERTOLDI — È vero; ma si tratta anche dipersuadere Angelica, e io avrei bisogno perquesto dell’influenza che hai su di lei.FINETTA — Affatto, Messere. Angelica è giàpiú che persuasa, e appena le si parlerà di sposareErasto, non se lo farà ripetere due volte.BERTOLDI — Cosa vuoi dire con questo Era-sto? Non è con lui che io ho l’auspicio che si sposi.FINETTA — Ah! Vi chiedo perdono. Non sonemmeno perché mi viene sempre in menteErasto. Ma dunque di chi parlate? Scommettoche indovino… BERTOLDI — Sentiamo.FINETTA — Volete far sposare Angelica alvostro nipote.

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    BERTOLDI — L’hai detto. Proprio a mionipote, che si chiama Della Bertoldinera, ilnome che ho dato a una piccola proprietà chegli ho comprato. Come hai fatto a indovinare?FINETTA — Beh, è cosa che salta agli occhi.In primo luogo, Angelica è un buon partito;poi sono sicura che Messer della Bertoldinera elei son fatti cosí perfettamente l’uno per l’altra,che è una meraviglia.BERTOLDI — … Ma se non hai mai vistomio nipote.FINETTA — Messer della Bertoldinera?No; ma cosa importa? E poi assomiglierà sicu-ramente a voi.BERTOLDI — Un po’.FINETTA — Allora, c’è tutto ciò che serve.E poi Erasto, detto tra noi, è un giovane scape-strato e dalla mente ancora immatura.BERTOLDI — Tu approvi dunque il mioprogetto?FINETTA — Lo trovo stupendo.BERTOLDI — Orbene, dato che sei d’accor-do, ti devo confessare una cosa. Sono io che hopersuaso Donna Lucrezia a rimandare fino adora il matrimonio di Angelica con Erasto.FINETTA — Perbacco!BERTOLDI — … E siccome sapevo cheCleante sollecitava continuamente questo ma-trimonio, ho dovuto, per arrivare a buon fine,ispirare a Donna Lucrezia un po’ di avversionenei confronti di suo cognato.FINETTA — Avete fatto benissimo.BERTOLDI — Ho previsto quello che è in-fatti successo, che Angelica si sarebbe stancatadi aspettare cosí a lungo; e oggi che lei è impa-ziente di essere maritata e non ha quasi piú spe-ranza di sposare Erasto, sono convinto checonsentirà a sposare mio nipote della Bertoldi-nera, piuttosto che non essere maritata affatto.FINETTA — La penso come voi… BERTOLDI — Sono abbastanza sicuro di suamadre; ma sarà bene che tu predisponga congarbo l’animo di Angelica ad acconsentire aquesto matrimonio, affinché la cosa sia fattapiú possibile di buon grado.

    FINETTA — Lasciate fare a me.BERTOLDI — Mio nipote avrà anche lui lasua piccola dote. Non è assolutamente mal fat-to, e per un giovanotto di modeste condizioni,è imparentato piuttosto bene. Ho ben spiegatotutto ciò a Madama… FINETTA — Ecco una buonissima idea. Mes-ser della Bertoldinera, Madama della Bertoldine-ra, dei Bertoldinerini, si farà un vivaio di Bertol-dineri che sarà carino da tutti i punti di vista.BERTOLDI — Non si pensi tuttavia che sia in-teresse quello che mi spinge a far ciò. Da tempoDio mi ha fatto la grazia di non avere mai mirecosí basse. Quello che mi muove, Finetta, è sola-mente lo zelo per la salvezza di Angelica.FINETTA — Oh! Me ne sono ben resa conto.BERTOLDI — Perché in fondo, lo sai, Era-sto è un giovanotto, amabile e del tutto monda-no. Lui ama Angelica, Angelica lo ama, e po-trebbe essere che questa simpatia reciproca siaunicamente opera della natura, e non dellagrazia e della carità.FINETTA — Certo, non ci giurerei.BERTOLDI — Se essi si sposassero, continue-rebbero forse ad amarsi cosí per tutta la vita.FINETTA — Una cosa di cui aver davveropaura.BERTOLDI — … Ed ecco cosí due anime la-sciate per sempre in balia del peccato e dellanatura corrotta.FINETTA — Altro che! È peggio di una sco-munica!BERTOLDI — Non c’è paragone. Invece,sposando mio nipote della Bertoldinera, datoche la sua persona non ha niente che possa lu-singare la natura, Angelica lo amerà solo peramor di Dio, e per un moto di carità sovranna-turale: cosí che vivranno entrambi in un’unionetutta santa, avendo solo desideri puri e nessunapassione terrena.FINETTA — Questo è sorprendente. Ma co-me? Messere, se entra un po’ d’inclinazione na-turale nella legittima tenerezza che una sposaha per il suo sposo, è un peccato?

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    BERTOLDI — Sí, figliola. Tutto quello che lanatura ci suggerisce e ci fa fare, tutti i sentimentiche ci ispira, tutto quello che non facciamo mossidalla carità divina… altrettanti peccati.FINETTA — E perché questo, Messere?BERTOLDI — Il fatto è, figliola, che tutta lanatura è corrotta nelle sue radici, massa e so-stanza. Un infedele ha un bel credere di fareuna buona azione assistendo suo padre: egli faun peccato. Una madre che ama i figli, unasposa che ama lo sposo, se esse non li amanoper il solo moto di carità soprannaturale… al-trettanti peccati.FINETTA — Ecco una cosa molto triste; per-ché di questo passo bisogna dunque che sposiamotutte dei macachi, per non amarli altro che mosseda carità; davvero, sarei assai delusa, se questemassime avessero fortuna… , ma non importa.Andate dalla Signora che vi attende.BERTOLDI — Ci vado; ma vai anche tu apreparare Angelica, come ti ho detto.FINETTA — Lasciate fare a me.BERTOLDI — Toh, vedi questo preziosobraccialetto? È una delle nostre sante dameche me l’ha dato perché lo impieghi per operedi carità.FINETTA — È davvero prezioso.BERTOLDI — Ebbene, se la cosa riesce, lo ve-di? (rimettendolo in tasca) lo metto da parte per te.FINETTA — Lo mettete da parte per me? Visono veramente molto obbligata.BERTOLDI — Vado dalla Signora; ma an-cora una volta ricordati di assecondarmi bene.FINETTA — Sí sí (a parte) Lo metto da par-te per te.BERTOLDI — … E soprattutto non dire nul-la di quello di cui abbiamo appena parlato.FINETTA — Oh! Non temete. (a parte) An-che questo lo metto da parte per te. Ecco unmaestro in bigottismo; ma come imbroglione,non è mica tanto abile.

    Scena III.ANGELICA, FINETTA, ERASTO.

    ANGELICA (da uno spiraglio della porta) —Finetta!FINETTA — Sí, Signorina?ANGELICA — Non c’è piú nessuno lí … pos-so far uscire Erasto?FINETTA — Venite, venite tutti e due: ho dadarvi delle belle notizie.ERASTO — Cosa è successo?ANGELICA — Cosa c’è?FINETTA — È vero che vi amate tanto,voi due?

    ERASTO — Lo sai benissimo. E allora?FINETTA — Sí; ma non c’entra un po’ lanatura in tutto questo?ANGELICA — Cosa intendi per natura? Lanostra amicizia è onesta e legittima, come deveessere tra due persone che sono state unite dailoro genitori.FINETTA — Lo credete?ANGELICA — Senza dubbio. Dunque, cosavuoi dire?FINETTA — Voglio dire che siete tutti e duepeggio che scomunicati. Peccato, natura cor-rotta, abrenontio Satanas.

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    ERASTO — Ah! Finetta! Ti sembra che sianparole con cui scherzare? Sei impazzita?FINETTA — Un po’; ma non quanto, vi assi-curo, Messer Bertoldi. La differenza tra lui e me,è che io sono una pazza di buon umore, mentreMesser Bertoldi è un pazzo di quelli cattivi.ANGELICA — Insomma, spiegati.FINETTA — Ebbene. Ve l’ho già annuncia-to, all’uno e all’altra. Voi avete un rivale, e voiun nuovo pretendente.ERASTO — Un rivale!ANGELICA — Un pretendente!FINETTA — Sí.ERASTO — E come si chiama?ANGELICA — Qual è il suo nome?FINETTA — Il suo nome è Messer dellaBertoldinera.ERASTO — Della Bertoldinera!ANGELICA — È mai possibile?FINETTA — Sí, Messer della Bertoldinera, ca-rissimo nipote di quel santissimo uomo di MesserBertoldi, onnipotente direttore spirituale di Ma-dama Lucrezia, suo consigliere per tutti i consigli.È Messer Bertoldi che ha fatto rimandare fino adoggi il vostro matrimonio, nella previsione, dicelui, che, stanca di attendere da tanto tempo, voi virassegniate a sposare il suo caro nipote Messerdella Bertoldinera.ERASTO — Ah! Scellerato! Il boia… ANGELICA — Finetta, allora era propriovero quello che mi dicevi! Io, sposare un DellaBertoldinera!FINETTA — Perché no! Messer dellaBertoldinera non è ricco, ma potrebbe esser-lo come un altro. Non è proprio dibell’aspetto, ma non è colpa sua. Non ha no-bili natali, ma i suoi genitori non sono dirango migliore di lui. Non ha molto… ANGELICA — Smettila. Vuoi burlarti di me?FINETTA — Ascoltate: prendete le vostrecontromisure, e al piú presto, perché in questofrattempo Messer Bertoldi sta facendo la pro-posta alla Signora vostra madre.ANGELICA — Ahimè! La persuaderà.

    ERASTO — Eh! Cosa importa se la persuade,se voi acconsentite a venire via con me? Angeli-ca, approvate il piano che vi propongo. Ho giàil consenso di vostro padre, avrò quello di vo-stro zio, cosa temete?FINETTA — Come! Non siete ancorad’accordo su cosa fare?ERASTO — No; lei è insensibile alla mia di-sperazione… Si lascia andare a vani timori diquello che si dirà, di quello che si penserà.Crudele Angelica, non avete già concesso ab-bastanza al rispetto che dovete alle volontà diuna madre irragionevole e dobbiamo per vanepreoccupazioni esporci al rischio di essere se-parati per sempre?FINETTA — Davvero, Madamigella, nonavete tempo da perdere. Il mercato sarà prestoconcluso tra Donna Lucrezia e Messer Bertol-di, e visto l’umore di vostra madre, non esclu-derei che entro 24 ore voi siate la Signora dellaBertoldinera.ANGELICA — Ah! Finetta, non mi parlarepiú di un soggetto cosí odioso. (riflette)ERASTO — E ancora state a pensarci!ANGELICA — Basta, mi arrendo perché ènecessario farlo.ERASTO — Adorabile Angelica, che impetodi gioia fate seguire alla piú angosciosa tristez-za! Sento che il mio amore… FINETTA Suvvia! Il vostro amore! È proprioil momento di tirare in ballo i bei sentimenti.Mettetevi d’accordo velocemente.ERASTO — Allora, Angelica, ritornerò trapoco, all’ora che vorrete indicarmi, e vi con-durrò via attraverso la porticina del giardino.ANGELICA — Ma cosa dite, Erasto! Non viilludete che accetti un simile piano, per quantopersuasa sia del rispetto che avete per me. Ve-detevi con mio zio e mettetevi d’accordo conlui per qualche altro espediente. Se vuole con-durmi lui stesso a casa sua e lí trattenermi finoal ritorno di mio padre, a ciò acconsentirò; manon farò niente se non su suo ordine e sotto isuoi occhi, e forse è già far troppo.FINETTA (a Erasto) — Presto, andate via;mi sembra di sentire Madama che esce dalle sue

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    stanze… E voi, siccome vi parleranno sicura-mente del vostro nuovo pretendente, prepara-tevi a rispondere a tono.ANGELICA — Con Messer Bertoldi, non honessuna preoccupazione, e mi prenderò giocodi lui; ma cosa vuoi che risponda a mia madre?FINETTA — Quanto a me, io mi ritiro, pernon entrare in questa discussione, e tornerò al-la fine per domandarvi com’è andata.

    Scena IV.MADAMA LUCREZIA, ANGELICA,

    MESSER BERTOLDI.

    LUCREZIA — Sí, Messere, è affare fatto,non avete altro che da portare qui vostro nipo-te quando volete. Piú presto sarà, meglio sarà.BERTOLDI — Temo che lo troviate ancoraimpreparato agli usi di società. È appena uscitodal collegio.LUCREZIA — Non fa niente, del resto siformerà.BERTOLDI — Prego il Cielo di benedire lenostre sante intenzioni.LUCREZIA — Spero che lo faccia. Ma orabisogna che vi lasci un momento con mia figlia.Sapete quello che occorre dirle, e siccome lofarete bene, conto che lei vi dia retta come didovere; poi vi raggiungerò.

    Scena V.ANGELICA, MESSER BERTOLDI. (si siedono)

    BERTOLDI — Permettetemi, Signorina, difarvi un complimento molto sincero e moltoaffettuoso.ANGELICA — Padronissimo.BERTOLDI — Mi pare che la grazia faccianel vostro cuore ogni giorno nuovi progressi.ANGELICA — Da cosa lo vedete, Signore?BERTOLDI — Il vostro contegno è cosí mo-desto e gentile. Ah, che peccato che il mondocorrompa cosí felici inclinazioni!ANGELICA — È vero; ma è affar mio, Si-gnore, piú che vostro.

    BERTOLDI — Voglia il Cielo che siate sem-pre ligia nel seguire gli esempi della Signoravostra madre, e docile ai suoi consigli.ANGELICA — Quanto a questo, Signore, soquello che devo fare.BERTOLDI. (a parte) — Ahi! Mi pare un po’sulle sue! (ad alta voce) Ciò che pavento pervoi, è che andiate un po’ troppo dietro ad incli-nazioni affatto naturali.ANGELICA — Spiegatevi, di grazia, non vicapisco.BERTOLDI — La Signora vostra madre, cheè una persona spiritualissima e piena di grandiprincipi, si augurerebbe che voi deste un po’meno ascolto ad un’affezione tutta terrena cheavete per un certo giovanotto… ANGELICA — Eh! Perché, Signore,quest’affezione che voi chiamate terrena sa-rebbe da condannare? Il suo principio e ilsuo fine sono sempre stati onestissimi, ed es-sa è autorizzata da mio padre.BERTOLDI — Sí. Ma. Non è vero che voiamate Erasto secondo natura?ANGELICA — Tutto quello che so, Signore,è che mio padre mi ha ordinato di amare Era-sto come sposo che egli mi ha destinato: lo tro-vo amabile, l’amo, dov’è il delitto?BERTOLDI — Ah! Signorina, dal peccatodel primo uomo — ascoltate bene questo gran-de principio, e incidetelo nel vostro animo —dal peccato del primo uomo, la nostra natura ècosí corrotta che tutto quello che essa ama etutto quello che essa fa… è peccato.ANGELICA — Allora cosa si deve fare, Mes-sere?BERTOLDI — Occorre che la grazia con lasua forza vittoriosa si renda padrona assolutadella nostra volontà, e la volga invincibilmenteal bene; perché allora — ascoltate bene — noisiamo trasportati da una dilettazione celeste al-la quale non possiamo resistere. Invece, senzaquesta grazia, la dilettazione terrena ci trascinanecessariamente al male.ANGELICA — Molto bene. E codesta grazia,Messere, l’abbiamo sempre?

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    BERTOLDI — Lungi da ciò! Dio la rifiutatalvolta ai suoi stessi prediletti.ANGELICA — È dunque inevitabile per loroessere trascinati dalla dilettazione terrena?BERTOLDI — Ahimè! Sí.ANGELICA — Ebbene, Messere, ecco esat-tamente il caso in cui io mi trovo, riguardoall’attaccamento che ho per Erasto.BERTOLDI — Come?ANGELICA — Non ho affatto la graziaper resistervi, e sono trascinata dalla diletta-zione terrena.BERTOLDI — E come fate a sapere che nonavete la grazia?ANGELICA — Essa non mi trasporta: dun-que non ce l’ho. Bisogna che l’attenda.BERTOLDI — Non importa, Signorina, unodeve sempre impegnare… la… e fare degli sforzi.ANGELICA — Eh, Messere, posso io fare ilminimo sforzo senza la grazia? L’attendo.BERTOLDI — Intendete dunque perseveraretranquillamente in un’affezione che vostra ma-dre non approva?ANGELICA — Attendo la grazia, Messere.BERTOLDI — Per lo meno domandatelaal Cielo.ANGELICA — Eh! Come faccio a doman-darla, se non sono portata alla preghiera?BERTOLDI — In verità siete assai colpevoledi persistere in un attaccamento di cui la caritànon è il principio.ANGELICA — Dite piuttosto che sono assaisfortunata; come sarei colpevole di una cosa chenon dipende affatto da me? Io attendo la grazia.BERTOLDI — Disubbidite alla Signora vo-stra madre.ANGELICA — È colpa mia? Volentieri leobbedirò, appena riceverò la grazia, e poiché èquesta la vostra dottrina, Messere, fateglielaben comprendere, vi prego, affinché ella scusila mia disubbidienza.BERTAUDI — Come! Obblighereste Mada-ma vostra madre a ricorrere alla sua autorità?

    ANGELICA — Ahimè! Lei potrà costrin-germi, ma solo la grazia può cambiare i cuo-ri. Io l’attendo.BERTOLDI — Oh! Mi rincresce che non ac-cogliate meglio i miei consigli.ANGELICA — Eh Messere! Dato che non hola grazia per seguirli, aiutatemi per lo meno adistogliere mia madre dalla sua idea di farmidimenticare Erasto… BERTOLDI — Ah! Ma cosa mi dite mai?ANGELICA — Ve ne sarei eternamente grata.BERTOLDI — Mi preservi il Cielo dal favo-rire giammai scopi cosí umani e cosí terreni!Da tempo i miei pensieri vanno solo all’eterni-tà, e tutte le cose di questo mondo per me nonsono nulla.

    Scena VI.MADAMA LUCREZIA, ANGELICA,

    MESSER BERTOLDI.

    LUCREZIA — Mia figlia vi è molto grata,Messere, della benevolenza che avete per lei, e— non ne dubito — dei vostri buoni consigli.BERTOLDI — Ahimè! Il suo cuore non è an-cora affatto depurato dalle affezioni sensibili,né il suo animo scevro dai pregiudizi volgari;ma spero che la vostra autorità farà su di leimaggiore effetto che non i miei buoni consigli.LUCREZIA — Lo spero anch’io; e non man-cate di portar qui al piú presto, come vi ho det-to, il vostro nipote.BERTOLDI — Volentieri, Madama; ma l’oradella preghiera mi chiama: bisogna ch’io mi ritiri.LUCREZIA — Andate, Messere. Penserò io atutto.

    Scena VII.MADAMA LUCREZIA, ANGELICA. (si siedono)

    LUCREZIA — Angelica, io vi voglio bene; efino ad oggi ve l’ho dimostrato a sufficienza.Voi mi avete dianzi gravemente offesa; ma viperdono, purché vogliate riparare al vostro er-rore. Voglio addirittura farvi felice. Però, An-gelica, non come lo intende il mondo...

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    (Angelica durante questo discorso si mostra di-stratta)LUCREZIA (alzando la voce) — Mi fate ilpiacere di… darmi ascolto.ANGELICA — Madre mia… LUCREZIA — Figlia! Mi prendete in giro?ANGELICA — Dio me ne guardi!LUCREZIA — Guardatemi dunque ed ascol-tatemi. Non mi avete detto dianzi che non vidispiacerebbe andare a nozze?ANGELICA — È vero, madre. (a parte) OhCielo!LUCREZIA — Ebbene, figliola. Voglio asse-condare in ciò le vostre inclinazioni.ANGELICA — Ve ne sono molto obbligata.LUCREZIA — In piú vi destino un giovanot-to pieno di merito e di virtú.ANGELICA — Erasto ne ha in quantità.LUCREZIA — Prego?... benissimo educatoda un santo zio che l’ha nutrito dei veri princi-pi della Morale e della Religione, e che saràcertamente una perla di marito. Si tratta anco-ra di Erasto?ANGELICA — Davvero tutto ciò gli si addiceabbastanza.LUCREZIA — Ebbene, vi informo che non èlui. Le ragazze sono straordinarie. Quandohanno in testa qualcuno, credono che non cisia che lui al mondo.ANGELICA — Ma, madre mia… LUCREZIA — State zitta. Il giovanotto dicui vi parlo si chiama Messere della Bertoldi-nera (Angelica appare colpita) Non ve l’aspetta-vate, innocentina! Questo nome vi stupisce? Inuna parola è il nipote di quel sant’uomo che viha appena parlato, Messer Bertoldi.ANGELICA — Madre mia, perdonatemi; macambio idea.LUCREZIA — Come sarebbe a dire?ANGELICA — Non voglio piú andare a nozze.LUCREZIA — Benissimo. Questo prontocambiamento è davvero edificante e mi dateuna bella prova di ubbidienza. Quando non vo-

    glio maritarvi, lo volete; quando lo voglio io,non lo volete piú.ANGELICA — Siamo forse padrone dei no-stri desideri e delle nostre volontà? Io vi hosentito cosí spesso dire che tutto quello che vo-gliamo, è la grazia oppure la passione che ce lofa volere, senza che possiamo resistervi; MesserBertoldi mi ha detto poco fa le stesse cose.LUCREZIA — Ah! Fate anche la saccente!Ebbene, dato che volete ragionare, sapete qualè l’autorità di una madre sulla propria figlia?ANGELICA — Ahimè! Sí.LUCREZIA — Sapete inoltre che vostro pa-dre partendo mi ha passato tutti i suoi diritti?Cosí per risparmiarvi lo sforzo di tanto ragio-nare, io lo pretendo, figlia mia, e ve l’ordino.ANGELICA — Ah! Madre mia, quale con-danna state per pronunciare.LUCREZIA — Sí. Voglio che entro staserastessa voi siate maritata.ANGELICA — Entro stasera!LUCREZIA — Sí, stasera.ANGELICA — Oh Cielo! (si getta alle ginoc-chia della madre) Madre, lasciatevi piegare dal-le mie lacrime!LUCREZIA — Tacete e rialzatevi. Quelloche faccio è per il vostro bene.ANGELICA — Ahimè! Morrò per questo be-nefizio.LUCREZIA — Oh! Non ne morrete; ma lanatura sarà mortificata, l’inclinazione naturaleverrà soffocata, la cupidigia sarà domata e lacarità trionferà.ANGELICA — Eh! Che dirà mio padrequando mi troverà sposata con un altro inveceche con Erasto?LUCREZIA — Vostro padre, poco istruito suibuoni principi, aveva, concedendovi ad Erasto,dato troppo ascolto all’inclinazione che aveva-te l’uno per l’altra, come se si dovesse tenerneconto nei matrimoni. Oh! Non è cosí che Mes-ser Bertoldi intende la cosa!ANGELICA — Codesta inclinazione è sem-pre stata onesta da parte di Erasto e mia, ed es-

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    sa ha sempre avuto uno scopo legittimo e cri-stiano. È mio padre che l’ha fatta nascere e… LUCREZIA — Sentite che ignoranza, dopotutto il tempo speso a istruirla! Non vedete chedove c’è peccato, non ci può essere nulla dionesto e dove c’è natura, c’è solo peccato?ANGELICA — No, madre, non lo vedo.LUCREZIA — Non lo vedete? Ebbene, avre-te tutto l’agio di impararlo, ma io scriverò im-mediatamente a Messer Bertoldi per confer-margli che porti con sé suo nipote. Badate diaccoglierlo bene.

    Scena VIII.ANGELICA, FINETTA.

    FINETTA — Allora, come ve la siete cavata?ANGELICA — Ho pregato, ho pianto.FINETTA — Tutto qui?ANGELICA — Ahimè! Sí.FINETTA — E pregando e piangendo vi la-scerete sposare a Messer della Bertoldinera?ANGELICA — Non c’è niente da fare.FINETTA — Eh! Poco fa promettevate difare meraviglie.ANGELICA — Non oso oppormi a mia madre.FINETTA — O Cielo! Tanta virtú che la sicrederebbe quasi una molinista! Tuttavia aveteancora una risorsa.ANGELICA — In mio zio?FINETTA — Sí.ANGELICA — Ebbene, aspetterò quello cheErasto e lui avranno deciso insieme, e se miozio vuole portarmi di persona a casa sua, ac-consentirò; perché vedo bene che non mi restapiú nessun altro modo per sottrarmi alla scia-gura che mi sovrasta.FINETTA — Restate dunque qui ad attende-re vostro zio e la visita di Messer della Bertol-dinera. Quanto a me, vado a preparare tuttoper il piccolo Concilio delle Dame.

    FINE DEL SECONDO ATTO.

    A T T O I I IScena I.

    SIGNORINA SCARSELLA, FINETTA.

    FINETTA — Grazie a Dio, ecco fatto quelche avevo da fare per oggi, e le nostre Dameverranno quando vogliono. Ah ah! Ecco dinuovo la questuante dei nostri Signori! Buon-giorno, signorina Scarsella. Mi sembra che daqualche tempo facciate la corte a Madama piúspesso del solito.SCARSELLA — Che vuoi, figlia mia? Le ne-cessità aumentano, e si deve pure… FINETTA — Che! Le necessità della piccolaChiesa?

    SCARSELLA — Siamo in tempi di persecu-zione, lo vedi? E sai che in tempo di guerra sifa gran fatica a nutrire le truppe.FINETTA — Lo credo, soprattutto quandosono un po’ affamate. Ma quello che c’è di buo-no per voi, signorina Scarsella, è che quando lenecessità della piccola Chiesa aumentano, levostre diminuiscono in proporzione.SCARSELLA — Che vuoi dire?FINETTA — Suvvia, mi capite… Bisogna pu-re che ognuno campi del suo mestiere e che gliesattori si paghino in base agli incassi.

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    SCARSELLA — Oh! Le cose andavano beneuna volta quando i Signori erano meno interessa-ti. Ma oggi hanno tanti di quei nipoti e nipotine…In poche parola quei signori della Chiesa ci spol-pano. Del resto non ho tempo per chiacchierare…fammi parlare con Madama.FINETTA — Vado ad avvertirla.

    Scena II.SIGNORINA SCARSELLA (sola).

    SCARSELLA — Nell’attesa vediamo un po’ inostri conti; perché mi sembra che la carità co-minci a raffreddarsi. È vero che sono in unacattiva Parrocchia. Ah! se fossi a san Gervasio oSan Rocco, avrei incassato di piú. (legge)Rendiconto di quello che è stato versato dalle per-sone caritatevoli, per il sostegno e il progresso dellabuona causa. Dal secondo trimestre del 1730.Signorina Marton… 50 franchi, che zelo ha que-sta povera sarta!Guadagnerà appena 30 soldi al giorno, e guar-date quanto dà! È vero che è guidata da un uo-mo abile...Poi… Signora Sottanino... 200 franchi. Ah! Si-gnora Sottanino, in coscienza, non è abbastan-za. Pensate un po’, questa donna, che è stupidae ragiona come una pignatta, si è dichiaratacontro la Costituzione per darsi le arie di colta,e dà solo 200 franchi! Oh, tornerò a trovarvi,Signora Sottanino.Poi… Signorina Melesecche… 100 franchi. Suquesta non c’è niente da dire; li deve addirittu-ra sottrarre al padre.Poi… il reverendo Simon... 600 franchi. Certo!Ha avuto il Benefizio a queste condizioni!Poi… Signor Gabella... 2000 lire. Ah! Lo so be-ne perché, è da scalare sulla somma di 10.000lire che si è impegnato a pagare per l’impiegoche gli è stato procurato.Poi… Signora Becconi... 300 lire. Oh! È dav-vero poco, Madama Becconi. La vostra cau-sa in tribunale non valeva proprio nulla, esenza le sollecitazioni delle nostre giovaniDame, l’avreste perduta.

    Poi… Don Cetriolo… 150 franchi. Sí, ma io gli hopromesso di portar gente alle sue prediche, e pre-dica cosí male che sarà dura per me riuscirci… Poi… Signora Tonti… 100 franchi. Quella, è unafacile da menar per il naso; perché in fondo èuna buona molinista, e le faccio credere che so-no per i poveri.Ma ecco Donna Lucrezia, non è il caso che ve-da tutto ciò.

    Scena III.MADAMA LUCREZIA,

    SIGNORINA SCARSELLA.

    LUCREZIA — Eccoti di nuovo, Scarsella, seiinsaziabile.SCARSELLA — Davvero, Madama, i tempisono tanto difficili, e se le Dame piú zelanti,come voi, non fanno qualche sforzo di carità,la Verità perderà la sua causa.LUCREZIA — Ma ricordarti che appena unmese fa ti ho dato 50 pistole, e che sei settima-ne prima ti avevo dato 2.000 lire; in una parolada un anno a questa parte ti ho dato piú di12.000 franchi e da 3 anni tuttavia non pago idomestici. Tu non mi lasci un soldo.SCARSELLA — La Provvidenza è cosí gran-de, Madama. Dio benedirà le vostre sante cari-tà, ed è incommensurabile il servizio che ren-derete alla buona causa e l’onore che ciò vi faràpresso i Signori.LUCREZIA — Quali necessità tanto pressan-ti ci sono dunque al momento?SCARSELLA — Oltre alle necessità ordina-rie che già conoscete, cioè le elemosine o lepiccole pensioni che bisogna dispensare a tantepersone, abbiamo dovuto provvedere da qual-che tempo alla pubblicazione di molte opere, equello che rattrista è che, a spese fatte, ce neviene sequestrata sempre una buona parte.LUCREZIA — Sí, ma potete rifarvi larga-mente su quello che salvate dalla confisca.SCARSELLA — Ahimè! Quasi per niente,perché bisogna ogni volta darne via un grannumero in omaggio. Eh! Altrimenti chi legge-rebbe i nostri libri? I Molinisti non hanno que-

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    sta politica, ed ecco perché le loro opere ri-mangono nell’oblio.LUCREZIA — E cosa ancora?SCARSELLA — Ci sono soprattutto tre speseche ci dissanguano.LUCREZIA — Eh! quali?SCARSELLA — In primo luogo i Certosinidi Utrecht. Perché capite bene che non si puòabbandonare a sé stessi quei santi religiosi chesi sono sottratti all’obbedienza e alla regola,per vivere in santa e dolce libertà.LUCREZIA — Questo è vero… SCARSELLA — Quello che è seccante è chesi deve nutrire loro e i loro guardiani.LUCREZIA — Come, i guardiani?SCARSELLA — Sissignora: siccome la mag-gior parte di loro vorrebbe tornare in Francia esottomettersi ai superiori, si è costretti a farlisorvegliare a vista, per timore dello scandaloche il loro ritorno causerebbe nella Chiesa.LUCREZIA — Questo non lo sapevo. E laseconda spesa?SCARSELLA — Sono i Preti interdetti. Per-ché, come volete che sopravvivano ora tantisanti preti?LUCREZIA — Eh ma… poiché i piú non sonodi Parigi, potrebbero ritornare alle loro diocesi.SCARSELLA — Cosa dite, Signora? Nono-stante il loro interdetto, essi qui ci rendonograndi servizi. Protestano, si lamentano, vannodi casa in casa a denigrare l’Arcivescovo e ilMinistero. Questo fa un bene infinito.LUCREZIA — Qual è la terza spesa?SCARSELLA — Sono i miracoli di San Paris.LUCREZIA — Come? Cosa vuoi dire?SCARSELLA — È che San Paris fa molti mi-racoli, come sapete… (a parte) ah! temo di averdetto troppo.LUCREZIA — Ebbene, forse i miracoli sifanno per denaro? Uno sarebbe cosí in malafe-de da… SCARSELLA — Non dico questo, Madama.LUCREZIA — Allora cosa vuoi dire?

    SCARSELLA — Ma… il fatto è che… per tenerviva la devozione del popolo, bisogna accenderetanti ceri sulla tomba di San Paris, e la cera costacara. E poi non bisogna forse fare qualche carita-tevole elemosina ai poveretti che San Paris haguarito? Tutti sanno che sono andati via 200franchi di elemosina soltanto per una donna; ebenché il miracolo fosse dei piú comuni.LUCREZIA — Tutto ciò va bene, ma io nonposso piú sopperirvi, e per stavolta ti darò soloqueste venti pistole. Addio, figlia mia; e pre-senta i miei omaggi ai nostri Signori.SCARSELLA — Non mancherò, Madama.

    Scena IV.MADAMA LUCREZIA, FINETTA.

    LUCREZIA — Finetta!FINETTA — Cosa comanda, Madama?LUCREZIA — Fai venire mia figlia Angelica,perché mi sembra che stia arrivando M. Bertoldi.FINETTA — Sí. Eccolo in persona col caronipote M. della Bertoldinera. (a parte uscendo)Angelica è ancora con lo zio. Bisogna che sispiccino a mettersi d’accordo.

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    Scena V.MADAMA LUCREZIA, M. BERTOLDI,

    M. DELLA BERTOLDINERA.

    M. BERTOLDI — Signora, sento una grandeconsolazione per l’onore che fate a mio nipote,ricevendolo in una famiglia cosí santa come lavostra; e mi lusingo che i buoni esempi che vitroverà contribuiranno a maturare le sue pro-pizie inclinazioni per la virtú.DELLA BERTOLDINERA — Oh! Perquello, mi ci picco.M. BERTOLDI — Sta a lui esprimervi la suariconoscenza. Nipote mio, su, dite qualcosa aMadama.DELLA BERTOLDINERA — Oh! Lascia-temi fare.LUCREZIA — Il vostro signor zio mi ha par-lato molto bene di voi, M. della Bertoldinera.DELLA BERTOLDINERA — Ah! Mada-ma, è che mi prende in giro.LUCREZIA — Credo che siate lieto di sposa-re mia figlia.DELLA BERTOLDINERA — Oh! perquello, sí.LUCREZIA — E che non vi dispiaccia di en-trare nella famiglia.DELLA BERTOLDINERA — Oh! Perquello, no.M. BERTOLDI — Scusate, Madama, lasemplicità di un giovanotto che essendo ve-nuto su nello studio della pietà non ha espe-rienza del mondo.DELLA BERTOLDINERA — Suvvia, per-donatemi.LUCREZIA — È vero che Messer della Ber-toldinera non sembra avere ancora molto gar-bo, e un po’ me ne dispiace per mia figlia, maverrà col tempo.DELLA BERTOLDINERA — Oh! sí cheverrà! La barba mi è già venuta. Ma è la bontàche voi avete di farmi l’onore… LUCREZIA — Basta basta, Messere, sonoben certa dei vostri sentimenti.M. BERTOLDI — Quanta bontà avete, Si-gnora!

    LUCREZIA — Tuttavia non vi dovete mostrarecosí impacciato, Messer della Bertoldinera.DELLA BERTOLDINERA — Oh Signora!Non so come maturare: verrà con la crescita.M. BERTOLDI — Spero che egli si formi inpoco tempo. D’altra parte non manca d’intelli-genza e scrive anche graziosi versi in lingua.LUCREZIA — Ah ah! Ne vedrò volentieri disua creazione, e ne sarò lieta per mia figlia.DELLA BERTOLDINERA — Bene, ve neporterò presto.LUCREZIA — Nipote caro, ecco la Signori-na Angelica, salutatela.

    Scena VI.MADAMA LUCREZIA, ANGELICA,

    M. BERTOLDI, M. DELLA BERTOLDINERA,FINETTA.

    M. DELLA BERTOLDINERA (si rivolge aFinetta) — Madamigella, lo splendore chebrilla nei vostri occhi… (Finetta ride) oh! oh!Come, vi fa ridere?M. BERTOLDI — Ma che fate, nipote mio?Non è quella la signorina Angelica, eccola qua.DELLA BERTOLDINERA — Ah ah!... losplendore che brilla nei vostri occhi… acciden-ti, ho la memoria corta e poi mi vergogno da-vanti alle ragazze.LUCREZIA — Lasciamo stare i complimen-ti, Messere. Avrete poi tutto il tempo di farne,e l’essenziale è che viviate bene insieme in unasanta e perfetta unione.DELLA BERTOLDINERA — Oh! Credoche vivremo bene insieme, perché, come io nonsono molinista, nemmeno lei lo è.LUCREZIA — Non credo proprio.DELLA BERTOLDINERA — Oh! Me nerido della Costituzione, io! Ho fatto i miei stu-di all’Università, sapete? E quando incontrodei Gesuiti, non manco mai di dirgli (imita iltacchino) — pia pia pia glu gluglu glu.M. BERTOLDI (facendo spallucce) — Ma, ni-pote mio, insomma… Signora, questa fanciullag-gine è segno della grande semplicità e candore del

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    suo animo. I vostri insegnamenti correggerannoin lui quel che c’è di manchevole.LUCREZIA — Codesti difetti son poca cosa enon fanno torto ad un merito cosí solido. Eb-bene, figlia mia, voi non rispondete niente?ANGELICA — Cosa volete che risponda,Madama; non so fare il verso del tacchino.FINETTA — È un peccato, poteva venirfuori un bel concerto.DELLA BERTOLDINERA. MadamigellaAngelica sa far musica?ANGELICA — Per niente, Signore… DELLA BERTOLDINERA — Boh, nem-meno io. Avreste dovuto sentirmi cantarequando ero piccolino. Si diceva che ero moltobirbone, ma è segno di buona razza.LUCREZIA (a M. Bertoldi) — Signore, sonolietissima di aver conosciuto vostro nipote e orasi tratta solo di far redigere il contratto di ma-trimonio. Conoscete le mie intenzioni e quelloche darò a mia figlia. Vi ho rimesso la procurache mio marito, partendo, mi ha dato perchéagissi a suo nome con la medesima autorità.Quindi andate a far stendere il contratto da unnotaio… Abbiate cura che sia in buona forma, eappena lo riporterete, lo firmerò senza piú leg-gerlo dopo di voi.M. BERTOLDI — Come! Madama, nonprenderete nemmeno la precauzione di leggereil contratto prima di firmarlo?LUCREZIA — Precauzioni con Messer Ber-toldi! Nossignore, vi assicuro. Sarebbe venirmeno alla fiducia che ho in voi, e vi promettoche non lo farò.FINETTA (a parte) — Non mi fiderei tanto, io.M. BERTOLDI — Come mi è preziosa questavostra fiducia, Signora! Siate certa che ne faròbuon uso e che eseguirò fedelmente i vostri or-dini. Vi ritirate, Signora?LUCREZIA — Sí. Vado ad accogliere le da-me e i signori della nostra riunione che stannoper arrivare.M. BERTOLDI — Nipote mio, prendetecongedo da queste dame.

    DELLA BERTOLDINERA (facendo inchi-ni) — Arrivederci, Madama. Non addio, Ma-damigella.FINETTA — Al diavolo il gaglioffo! Bene!Ecco che arriva la nostra santarellina. Lascia-mola dire. Immagino sia ben contenta e credadi avere Erasto tutto per sé.

    Scena VII.DORISA, ANGELICA.

    DORISA — Finalmente, sorella mia, siete alculmine delle vostre aspirazioni e state per an-dare a nozze. Mi felicito con voi.ANGELICA — Bontà vostra.DORISA — È vero che lo sposo che vi si dànon è proprio di vostra scelta; ma il meritodell’obbedienza conta pure qualcosa.ANGELICA — Ahimè! Se lo stimate tanto, velo cederei volentieri tutto intero.DORISA — Io, sorella! Mi guarderei bene ditogliervi lo sposo che mia madre vi dà. Poco fami avete proibito addirittura di pensarci.ANGELICA — Come siete gentile!DORISA — Vedete allora che i vostri diritti suErasto non erano poi cosí sicuri come dicevate,e che, se gli venisse voglia di corteggiarmi, nonvedo cosa potrebbe interessarvi… ANGELICA — Come! Sorella mia, con unavirtú cosí pura ed una morale cosí austera, in-dulgete a simili idee?DORISA — E voi, cosí scarsa di princípi edottrina, vi permettete di darmi lezioni? Statetranquilla, sorella, so meglio di voi ciò che ildovere e le convenienze esigono da me.ANGELICA — Ci credo, ma voi pure statetranquilla quanto ai sentimenti di Erasto. Lavostra virtú non ne trarrà mai motivo di allar-me. Eccolo che viene, evidentemente a trovareme, ma vi lascerò, se volete, la libertà di spie-garvi per prima con lui e, se ne farete un vostroinnamorato, io ve lo cedo.DORISA — Me lo cedete?ANGELICA — Sí, ve lo cedo.

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    Scena VIII.DORISA, ERASTO.

    ERASTO — Cosa sento! Angelica mi evita edice che mi lascia! Giusto Cielo! Cosa devocredere? Signorina, di grazia, spiegatemi que-sto mistero. Angelica obbedisce ai voleri di suamadre? Consente davvero a lasciarmi?DORISA — L’avete udita voi stesso: potetedubitarne?ERASTO — Ingrata! mi tradisce per sacrifi-carmi ad un rivale indegno! O Dio! Che sarà dime?DORISA — Vi compiangerei, Erasto, se nonaveste modo di vendicarvi.ERASTO (riflettendo con agitazione) — Se al-meno il rivale che ella mi preferisce fosse de-gno della sua scelta!DORISA — Davvero io non sarei mai capacedi tale ingratitudine.ERASTO — Tradirmi cosí!DORISA — Datemi retta. Fatele riconoscereil suo torto vendicandovi con una scelta piú de-gna di voi.ERASTO — Che crudeltà! E non tenta nem-meno di giustificarsi. Mi evita, mi sfugge.DORISA — Vendicatevi, Erasto, ve lo ripeto,riflettete su quello che vi dico.ERASTO — No, signorina. Invano tenterestedi giustificare una sí nera ingratitudine. Nonvoglio sentire una parola di piú.DORISA — Equivocate il mio pensiero; sonoben lungi dal scusarla.ERASTO — No, signorina, no. Niente puòscusarla. Come ha potuto dimenticare in unmomento tanta devozione e fedeltà?DORISA — Ascoltatemi, Erasto. Dimentica-tela anche voi, vi dico, e ripagatevi con unascelta migliore.ERASTO — Sottoscrivere con tanta facilità lamia sentenza di morte!DORISA — A che scopo lamentarvene, invece dipensare a vendicarvi? Aprite gli occhi, Erasto.Suvvia! Senza andare tanto lontano, potreste tro-vare un oggetto piú degno dei vostri desideri…

    ERASTO — Ebbene sí, ho deciso.DORISA — Come, la vostra scelta è già fatta?ERASTO — Sí, e sono certo che l’approverete.DORISA — Erasto, avreste dovuto accorgervida tanto tempo della stima che ho per la vostrapersona.ERASTO — Ah! Se avete della considerazio-ne per me, dovete approvare che io disprezziun’infedele che mi tradisce.DORISA — È vero; ma le convenienze nonpermettono… ERASTE — Al contrario, sono le convenien-ze stesse che me lo impongono.DORISA — Erasto, come siete impaziente! Vibasti sapere che se mi otterrete da mia madre,non troverete alcun ostacolo da parte mia.ERASTO — Ottenervi da vostra madre?DORISA — Sí! Erasto, ciò vi stupisce?ERASTO — Scusate il mio errore. Nel tur-bamento in cui mi trovo, ho evidentementeequivocato il vostro pensiero, e non ho benspiegato il mio.DORISA — Qual’è allora la vostra intenzione,signore?ERASTO — È quella di ritirarmi in campagnaper vivere là il resto dei miei giorni lontano dagliocchi dell’ingrata Angelica. Cosí la priverò delcrudele piacere di trionfare su un amante infelicee forse arriverò al punto di dimenticarla.DORISA — Come? Senza alcun nuovo fidan-zamento?ERASTO — Eh! Ne sono io ormai capace?No, non voglio piú amare nulla, e voglio odia-re perfino la luce del giorno.DORISA — È questo il bel proposito che ave-te concepito per vendicarvi?ERASTO — Sí, e l’eseguirò immediatamente.DORISA — Andate, signore, andate. Il pro-getto è troppo bello per rimandarlo anche diun minuto. Ma siate sicuro che se mia sorella virimpiange, io vi rimpiangerò pochissimo.

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    Scena IX.CLEANTE, ERASTO.

    CLEANTE — Erasto, in quale turbamento vitrovo? Sembrate appena riconoscermi.ERASTO — Ahimè! Ci mancava quest’ultimotiro della sorte per darmi il colpo di grazia. Erapoco vedere la mia felicità differita da due anni aquesta parte contro ogni ragione. Almeno l’amoree la fedeltà di Angelica sostenevano la mia co-stanza. Bisognava, per colmo di sventura, che An-gelica cessasse di essermi fedele, che mi tradisse emi abbandonasse per un rivale indegno. Addio.Vedete Erasto per l’ultima volta.CLEANTE — Eh! Perché, di grazia, vi met-tete in testa queste chimere? Sono sicuro chenon è nulla di tutto ciò.ERASTO — Eh! L’ho appena sentito io stessodalla sua bocca.CLEANTE — Dalla sua bocca!ERASTO — Sissignore; e la sorella me l’haconfermato.CLEANTE — La sorella può aver avuto lesue ragioni per parlarvi cosí; ma ripeto che nonposso crederlo. Conosco troppo bene i suoisentimenti.ERASTO — Può averli cambiati.CLEANTE — Come può averli cambiati nelpoco tempo dacché l’ho incontrata, come voimi avevate richiesto: proprio lei, con cui hoconcordato di condurla a casa mia e di custo-dirla là malgrado sua madre fino all’arrivo dimio fratello? Scacciate, credetemi, i vostri so-spetti e i vostri allarmi. Rispondo di lei.ERASTO — Come? Si è ora decisa a rifugiarsipresso di voi?CLEANTE — Sí; se non vedo altro mezzo diimpedire il ridicolo matrimonio che mia co-gnata vuole fare, ho detto a mia nipote che ver-rò subito io stesso a prenderla e condurla dame; e lei ha acconsentito. Del resto credo chenon dovrete attendere troppo per sposarla,perché ho ricevuto una lettera di mio fratelloche mi fa capire che è sul punto di arrivare.ERASTO — Fate rinascere la speranza nelmio cuore. È possibile che mi sia lasciato anda-

    re temerariamente a vani timori? Ah! Se Ange-lica mi è fedele non mi perdonerò mai di averlaingiustamente sospettata… CLEANTE — Venite voi stesso insieme a mea chiarire con lei i vostri ridicoli sospetti echiederle perdono.

    FINE DEL TERZO ATTO.

    A T T O I VScena I.

    MADAMA LUCREZIA, BELISA, DORIMENA.

    LUCREZIA — Ho saputo che mia figlia Do-risa è un po’ indisposta per un mal di testa. An-che Angelica è occupata. Comunque sediamocinoi, signore, e cominciamo, se siete d’accordo,le nostre dissertazioni teologiche.BELISA — Mi è venuta un’idea, Signore.DORIMENA — Beh, che cosa, Signora?BELISA — Quella di far redigere per iscrittogli atti delle nostre riunioni. Immagino che neverrebbe un’opera molto utile alla Chiesa e cheservirebbe a chiarire i punti piú oscuri dellateologia.LUCREZIA — Ecco un’idea magnifica!DORIMENA — Questo proposito mi sembrasublime, e oltre all’utilità che ne trarrebbe laChiesa, prevedo che l’opera ci farebbe molto ono-re, poiché si dovrà pur metterci i nostri nomi.BELISA — Senza dubbio, signora. Ho anchegià previsto il titolo dell’opera, che sarà unaraccolta di Dissertazioni teologiche sui punti piúardui della Religione, per facilitarne la compren-sione ai Dottori, e per servire di regola ai Vescovinelle loro decisioni, scritto dalle signore Lucrezia,Dorimena & Belisa.LUCREZIA — Ah che felice idea!DORIMENA — Davvero bella. Ma bisogneràfare approvare l’opera dai signori Avvocati.BELISA — Sissignora; ma solo dagli Avvocatidella Consulta, perché gli altri sono dei poveri dispirito che non capiscono gli argomenti elevati.

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    LUCREZIA — Ecco un progetto magnifico, ebisogna metterlo in atto al piú presto. Ma qualeargomento dobbiamo trattare oggi? Abbiamo giàridotto in polvere il Molinismo e tutte le opinionidegli Ultramontani. Abbiamo segnato i limitiprecisi dell’autorità della Chiesa e dei Vescovi, ecredo che ora siamo arrivati alla Grazia.DORIMENA — Sí, è dove ci siamo fermate lavolta scorsa.LUCREZIA — Ebbene, devo anche comuni-carvi un mio pensiero. Ho sentito dire che, daquando si discute intorno alla Grazia, i piú finiteologi non ne hanno compresa la natura econsideravano questo punto al di sopra dellaloro intelligenza. Chiariamo dunque una buonavolta tra di noi questo aspetto della dottrina efacciamo cosí vedere ai teologi che ne sappia-mo piú di loro.DORIMENA — Oh! Che bella idea: finalmentefaremo luce in questa importante questione.LUCREZIA — E voi, Signora, cosa ne pensate?BELISA — Approvo completamente la vostraproposta. Basterebbe questo a darci l’immortalità.LUCREZIA — Stando cosí le cose, si trattasolo di convenire tra di noi su una definizioneesatta. Volete, Signore, dire per prime la vostraopinione, o che vi dica la mia?DORIMENA — Cominciate voi, Signora, perpiacere.

    BELISA — Aspetteremo che abbiate parlato voi.LUCREZIA — Dato che me l’ordinate, hol’onore di dirvi che io credo che la grazia sia,ascoltate bene, signore, una ipostasi comunica-tiva dell’amore divino nelle nostre anime.DORIMENA — Come avete detto, Signora?una ipotasi?LUCREZIA — No; ho detto, una ipostasi co-municativa dell’amore divino nelle nostre anime.Forse non lo capite, Signora?DORIMENA — Scusate, ma cos’è una ipostasi?LUCREZIA — Una ipostasi: via, tutti lo ca-piscono.DORIMENA — Forse Madama intendeva di-re un’ipotesi?LUCREZIA — Nossignora, non è affattoun’ipotesi, e fatemi l’onore di credere che iodico esattamente quello che voglio dire. E al-lora qual’è a vostro avviso la natura della gra-zia? Sono curiosa di saperlo.DORIMENA — Crederei piuttosto che è unavirtú simpatica che trasforma la nostra animanell’adempimento del bene. Come? Non vi piacequesta definizione?LUCREZIA — Ah! Signora, una virtú simpa-tica!DORIMENA — Sissignora, una virtú simpatica.E notate che dico virtú per esprimere la potenzadella grazia, e simpatica perché essa ha della sim-patia con le potenze della vostra anima e la tra-sforma, la cambia nell’adempimento del bene.Questo è il chiarimento definitivo, no?LUCREZIA — Io non lo capisco.DORIMENA — Me ne stupisco davvero, vi-sto che capite cos’è un’ipostasi comunicativa.LUCREZIA — Scusate, Signora. Tutti capi-scono che cos’è un’ipostasi: ma una virtú sim-patica! Quale chimera!DORIMENA — Una ipostasi comunicativa!Che pasticcio!LUCREZIA — Pasticcio, Signora!DORIMENA — Chimera, Signora!LUCREZIA — Darmi di pasticcio!DORIMENA — Darmi di chimera!

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    BELISA — Eh! Signore, non ci crederetedavvero.LUCREZIA (a Dorimena) — C’è una belladifferenza, Signora. Le chimere son chimere,ma un pasticcio… DORIMENA — Dite piuttosto, Signora, che unpasticcio non è che un pasticcio, ma le chimere… BELISA — Eh! Signore, ma cosa vi salta inmente?LUCREZIA — Tenermi simili discorsi!DORIMENA — Siete voi che me ne avete da-to l’esempio.LUCREZIA — E in casa mia!BELISA — Signora, pensate allo scandaloche farete!DORIMENA — Perché mi parlate di chimere?BELISA (a Madama Lucrezia) — Ha ragio-ne. (sottovoce) Sapete che è il suo punto debole.LUCREZIA — Pasticcio!BELISA (a Madama Lucrezia) — Ha torto.(sottovoce a Dorimena) Non bisogna mai direcerte verità.LUCREZIA — Oh, glielo farò riconoscere, ilsuo torto!BELISA — Eh! No, Signora, ve ne scongiu-ro. Non bisogna forse perdonare qualcosa nellavita? Passate sopra al pasticcio, e lei passerà so-pra alla chimera.DORIMENA — Per me, accetto.LUCREZIA — Da parte mia, non lo dimenti-cherò mai.BELISA — Fingete almeno, e salvate le con-venienze. Su, poiché non potete mettervid’accordo sulla natura della grazia, ascoltatecome la definisco io e se approvate la mia defi-nizione vi troverete cosí d’accordo tra di voi.LUCREZIA — Volentieri.DORIMENA — Acconsento.BELISA — Dunque, se mi si chiede qual’è lanatura della grazia, io rispondo che è un flussoarmonico della bontà divina sulla natura umana.Ecco una definizione chiara, netta e precisa,che s’imporrà alla barba di tutti i teologi.LUCREZIA — Che s’imporrà, Signora?

    BELISA — Che, che s’imporrà. Avete qualco-sa da ridire?DORIMENA — Lo credete?BELISA — Sí, lo credo davvero.LUCREZIA — Io ne dubito.DORIMENA — E io non lo credo proprio.BELISA — È che preferite le vostre iposta-si e simpatie, vero? Vi dico che le vostre defi-nizioni non hanno senso comune, ed eccoinvece quella vera.LUCREZIA — Signora, Signora, moderateun po’ i termini.BELISA — Moderate piuttosto i vostri.DORIMENA — La Signora ha un tono ri-soluto.BELISA — Sissignore, è il tono che ci vuolecon voi, capite? Sapevate sí e no l’ABC dellateologia, allorché ve ne aprii io il santuario.Chi vi ha messo il turibolo in mano? Chi vi hainsegnato che avevate il diritto di dire la Mes-sa? Non sono forse stata io? Sta proprio a voi dicensurare la mia dottrina… Sappiate che so-sterrò la mia definizione di fronte a tutti i Dot-tori e Vescovi del mondo, e che se i nostri Si-gnori rifiutassero di sottoscriverla, mi fareipiuttosto molinista per farvi rabbia a tutti.LUCREZIA — Ah! Ecco che arriva uno deinostri illustri 50 avvocati, l'avvocato Spacca-bolle, che giunge davvero a proposito per giu-dicare la nostra controversia.

    Scena II.MADAMA LUCREZIA, DORIMENA, BELISA,

    M. SPACCABOLLE.

    M. SPACCABOLLE — Perbacco, Signore,mi sembra che la discussione sia alquanto acce-sa! Per favore, di che si tratta?LUCREZIA — La Signora Belisa ci accusa diessere ignoranti.M. SPACCABOLLE — Ah!DORIMENA — E ci minaccia pure di farsimolinista.M. SPACCABOLLE — Ah! ah!

    dIl Covilef N° 979

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    BELISA — Nossignore, sono queste dameche osano censurare la mia dottrina.M. SPACCABOLLE — Oh! Oh!LUCREZIA — Madama è arrabbiata perchénon approviamo una definizione che ci ha dato.M. SPACCABOLLE — Ah!DORIMENA — Lei pretende che sia miglio-re della nostra.M. SPACCABOLLE — Ah Ah!BELISA — Giudicate voi, Signore, già chesiete qua. Si tratta di spiegare la natura dellagrazia e di darne una definizione teologicachiara, netta e precisa. Siccome vogliamo farneun articolo di fede, abbiamo dato ciascuna unadefinizione e bisogna che decidiate voi qual èquella vera.M. SPACCABOLLE — Molto volentieri, Si-gnore mie; ma dite che si tratta di un dogma teo-logico e di materia attinente alla fede?LUCREZIA — Sissignore…

    M. SPACCABOLLE — Se è cosí, abbiate labontà di attendere un momento che io vada ariprendere la toga che il mio valletto tienenell’anticamera, perché vi confesserò una cosa:quando parlo di teologia senza la toga, davveronon so quello che dico e non ci capiscoun’acca; ma, come se il dono della scienza e lagrazia del giudizio fossero attaccati alla toga,appena ce l’ho addosso, ragiono, decido, taglio

    e ritaglio nelle materie teologiche come fosseropezze di stoffa. Vado e torno fra un momento.

    Scena III.MADAMA LUCREZIA, DORIMENA, BELISA.

    LUCREZIA — Allora vedremo se la mia defi-nizione è un pasticcio.DORIMENA — E se la mia è una chimera… BELISA — Sí, sí, vedremo; io un po’ me neintendo di teologia.LUCREZIA — Nel frattempo, Signore, vicomunico una novità. Stasera sposo mia figliaAngelica al nipote di Messer Bertoldi.DORIMENA — Al nipote di Messer Bertoldi!LUCREZIA — Sissignora.BELISA — Quanto a questo, ecco un matri-monio disinteressatissimo.LUCREZIA — Oh! Sissignora, vogliamo fareun matrimonio davvero cristiano, molto cri-stiano: come nei primi secoli della Chiesa.

    Scena IV.MADAMA LUCREZIA, DORIMENA, BELISA,

    M. SPACCABOLLE (in toga e tocco).

    M. SPACCABOLLE — Orsú, eccomi oranella veste di teologo. Parlate: di cosa si tratta?LUCREZIA — Io sostengo, Signore, che lagrazia è… DORIMENA — ... una virtú simpatica.BELISA — Nossignore: un flusso armonico.LUCREZIA — E io dico che è un’ipostasi co-municativa.DORIMENA — È una virtú simpatica, loripeto.BELISA — È un flusso armonico, insisto.LUCREZIA — No; è un’ipostasi comunicati-va, e non cederò mai.(Tutte e tre insieme)LUCREZIA — Un’ipostasi comunicativa.DORIMENA — Una virtú simpatica.BELISA — Un flusso armonico.M. SPACCABOLLE — Perbacco, Signoremie, parlate una alla volta, se volete che vi si

    6 Gennaio 2018 Anno XVIII

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    capisca. Voi, Madama, dite che è un flusso co-municativo?BELISA — Nossignore; il flusso è mio.LUCREZIA — Sí, ma il comunicativo è mio.DORIMENA — E io sono per il simpatico.M. SPACCABOLLE — Ricominciamo allorada capo.LUCREZIA — Sentite, Signore. La cosa ècosí chiara.DORIMENA — Voglio dire solo una parola.BELISA — Un attimo di ascolto, Signore.LUCREZIA — Sta a me parlare per prima.DORIMENA — Una parola sola, Signora.BELISA — Lasciatemi parlare un momento.Poi direte tutto quello che volete.M. SPACCABOLLE — Mettetevi d’accordo,se potete.LUCREZIA — Ecco il fatto, Signore. Non èvero che la grazia è un’ipostasi… ?DORIMENA — No, è una virtú… BELISA — È un flusso… LUCREZIA — … comunicativa...DORIMENA — … simpatica.BELISA — … armonico.LUCREZIA — … dell’amore divino nelle no-stre anime.DORIMENA — … che trasforma i nostri cuori.BELISA — … della bontà divina sulla naturaumana.LUCREZIA — Non ho ragione, Signore?DORIMENA — Ho forse torto?BELISA — Giudicate voi, Signore.M. SPACCABOLLE — Eh! Come diavolovolete che dia un giudizio, se non mi fate nem-meno capire l’oggetto della vostra disputa. Ad-dio, Signore, io mi ritiro.(Tutte e tre insieme)LUCREZIA — Ah Signore, rimanete perfavore.DORIMENA — Un momento, Messere.BELISA — Fermatevi, vi scongiuro.

    M. SPACCABOLLE — Volentieri, ma a con-dizione che parliate una dopo l’altra, via viache v’interrogherò.LUCREZIA — E va bene, Signore. Interro-gatemi per prima.DORIMENA — Ah! Signore, che sia io laprima, ve ne prego.BELISA — Una sola parola, Signore.M.SPACCABOLLE — Oh! Perbacco, preferireiaver da giudicare tra i tredici Cantoni svizzeri.Addio. Mettetevi d’accordo come potete.(Fa atto di andarsene, le dame lo trattengono)LUCREZIA — Oh! non ci lascerete in questomodo!DORIMENA — Rimanete, Messere, per favore.BELISA — Giudicherete tra di noi, e ci direteil perché.M. SPACCABOLLE — Allora parlate unaper volta. Me lo promettete?DORIMENA — Via, Signore, sí, ve lo pro-metto.BELISA — Anch’io.M. SPACCABOLLE — Allora procediamo.Donna Lucrezia, cominciate. Cosa sostenete?LUCREZIA — Sostengo, signore, che la gra-zia è un’ipostasi comunicativa dell’amore divi-no nelle nostre anime.M. SPACCABOLLE (con aria meditabonda)— Un’i… pos… tasi… co… mu… ni… ca… ti…va! Sí… Una i… posta… si! Mi pare abbastanzachiaro. Co. mu. ni. ca. ti...va! è definita davverobene. (a Dorimena). E voi, Signora?DORIMENA — Io affermo che è una virtúsimpatica che trasforma, notate bene, trasfor-ma la nostra anima nell’adempimento del bene.M. SPACCABOLLE — Una virtú sim… pati-ca che ci trasforma�